(Famiglia: Caprifoliaceae)
Descrizione:
Specie europeo-caucasica, presente in gran parte dell’Europa ad eccezione dell’estremo Nord (Tutin et al., 1976).
Viene indicata in Italia come specie comune in tutto il territorio (Pignatti, 1982). In Piemonte è ampiamente diffusa, sia nei settori planiziali, sia in quelli collinari e montani (Aeschimann et al., 2004).
La specie si può osservare in ambienti piuttosto disparati, quali conoidi ricche di materiale detritico, arbusteti umidi, arbusteti meso-termofili, pioppeti, alneti, frassineti umidi, saliceti arborei, faggete, carpineti e boschi secondari a Robinia pseudoacacia. Dal punto di vista ecologico si comporta come specie mesofila che predilige suoli ricchi in humus e sostanze nutritive (Landolt, 1977). Essa cresce preferibilmente in aree a clima suboceanico, pertanto non si spinge in quota all’interno delle vallate alpine continentali. Sotto il profilo fitosociologico viene indicata da Oberdorfer (1983) come specie compagna, trovando tuttavia il proprio optimum ecologico nell’ambito della classe Crataego-Prunetea (vegetazione di mantello propria delle fasi di ricostituzione del bosco) (Aeschimann et al., 2004).
In Valle Stura si osserva frequentemente dal fondovalle al piano montano, specialmente sui versanti freschi in esposizione settentrionale e presso gli impluvi.
I rami giovani sono verdi, presentano lenticelle longitudinali; la corteccia è di colore bruno con fratture longitudinali e solchi profondi da 5 a 8 mm.
Le foglie sono opposte, imparipennate caratterizzate da segmenti ellittici o lanceolati.
L’infiorescenza è ombrelliforme costituita da numerosissimi fiori di colore bianco tendente al latte.
I fiori non presentano calice o questo ha dimensioni estremamente ridotte; la corolla è composta da un tubo subnullo e da 5 lobi arrotondati. Gli stami sono 5 con antere gialle. Il frutto è una drupa di forma subsferica, lucida di colore nero-violacea.
Parti utilizzate Fiori, foglie, frutti maturi e corteccia.
Fioritura In primavera
Epoca di raccolta
I fiori si raccolgono nei mesi di giugno e luglio; la corteccia in primavera (generalmente si utilizza la seconda corteccia); le bacche quando sono mature, tra agosto e settembre.
Contiene:
Il sambuco è caratterizzato per possedere numerosi principi attivi che lo rendono una pianta di notevole interesse a livello officinale e medicamentoso. L’attività largamente attribuita ai fiori di sambuco è quella diaforetica e diuretica; per questo è impiegato comunemente come coadiuvante nelle affezioni reumatiche e in generale nelle malattie da raffreddamento. Responsabile di tale azione è il flavonoide rutina, definito anche sambucicianina e i composti triterpenici (presenti anche nelle foglie) che esercitano un’azione diuretica, depurativa (facilitano l’eliminazione del sodio con le urine) ed antinfiammatoria (Riva, 1995). Il sambuco esercita anche un’azione analgesica da attribuire alla presenza, anche se minima, di un glucoside cianogenetico (sambunigrina) (Riva, 1995).
Impieghi e storia:
L’etimologia del termine Sambucus rimanda all’impiego di questo arbusto dall’odore fetido, nella fabbricazione di strumenti musicali a corda. L’appellativo con cui si indica il genere deriva infatti dal nome di uno di questi, la sambuca.
Sull’etimologia del nome, ci sono differenti teorie; una di queste risale ai tempi dei Romani e dei Greci. Presso questi popoli, secondo le leggende, si adoperavano i rami del sambuco svuotati del midollo per costruire strumenti musicali simili al flauto, chiamati sambikè.
Le virtù medicamentose del sambuco erano ritenute, un tempo, le più svariate e fantasiose: avrebbe dovuto sanare tutte le malattie dei nervi, i dolori di capo, i flussi sanguigni compresi quelli del naso e, come se non bastasse, tutte le lesioni da scottatura.
Le qualità medicinali del sambuco nero sono differenti a seconda delle parti utilizzate. Le bacche sono lassative, antinevralgiche e facilitano da sudorazione come i fiori (Borsetta, 1953); le foglie sono purganti e hanno proprietà antinfiammatorie (Pomini, 1959); la corteccia, invece, ha proprietà diuretiche ed emmenagoghe (Borsetta, 1953). I fiori oltre ad avere un’attività legata alla sudorazione, sono anche rinfrescanti (Borsetta, 1953).
Le foglie, raccolte in estate e fatte seccare all’ombra, possono essere somministrate sottoforma di decotto; questo svolge un’azione lassativa e la sua applicazione esterna, a livello locale, è consigliabile in caso di irritazioni cutanee (Pomini, 1959).
Gli infusi di fiori sono segnalati a livello italiano per avere numerose proprietà medicamentose, in particolare facilitano la sudorazione e la secrezione del latte. Si consiglia di bere l’infuso 2 volte al giorno in caso di cistiti, problemi alle vie urinarie e presenza di catarro a livello bronchiale (Da Legnano, 1973).
Nomi dialettali:
Zammuco (Pescara), Sambuc (Cuneo), Zambuco (Brindisi e Ravenna), Sango (Verona), Sambugh (Forlì) e Holler (Bolzano).
Impiego alimurgico:
L’impiego alimentare del sambuco è antichissimo: semi di sambuco sono stati trovati tra i resti di palafitte intorno ad alcuni laghi della Svizzera.
Dai frutti si sono sempre ottenute ottime marmellate e sciroppi. Dei frutti non bisogna però abusare perché hanno proprietà lassative.
Con le bacche, oltre a produrre un rustico vino derivato da una debole fermentazione alcolica degli zuccheri contenuti, è possibile aromatizzare naturalmente gli sciroppi.
Dai fiori macerati nell’aceto si ricava un condimento aromatico, molto apprezzato per insaporire le pietanze e gli alimenti. Un curioso uso domestico dei fiori di sambuco consiste nella preparazione di una specie di spumante casalingo che ci venne suggerito dal medico romano Castore Durante oltre cinque secoli fa.
Un altro particolare utilizzo antico dei fiori era quello relativo alla conservazione delle mele: si preparavano strati alternati di fiori e di mele, che venivano riposti in scatoloni e chiusi accuratamente (Chiusoli e Goidanich, 1979). I fiori hanno, a livello topico, un’azione emolliente e trovano in questo modo impiego anche nell’industria cosmetica per la preparazione di creme decongestionanti e di maschere di bellezza (Palma, 1964).
Nell’Ottocento sono stati rinvenuti numerosi documenti che testimoniano come i frutti del sambuco avessero un’importanza notevole, in particolare, nei tempi delle carestie; questi venivano raccolti e comunemente mangiati insieme alle differenti specie di Ribes, all’uva spina e ai frutti del bagolaro (Gallino e Pallavicini, 2005).
E’ consigliato non abusare dei suoi preparati perché, soprattutto quelli ottenuti dalla corteccia o dai frutti ancora acerbi, possono provocare intossicazioni.
I frutti del sambuco, come i fiori del papavero, contengono una sostanza colorante utilizzata, sia in passato, sia in alcune realtà ancora attualmente, per tingere i tessuti di un colore blu-violaceo. Anche i frutti del Sambucus ebulus L. presentano questa proprietà ed erano utilizzati all’inizio del Novecento per colorare di rosso scarlatto, tessuti, tele ed alimenti (Ingegnoli, 1935).
Nel Biellese si utilizzavano, nell’Ottocento e primo Novecento, le foglie giovani come succedanee del tè e con i frutti si preparavano ottime marmellate (Sella, 1992).
Il sambuco riscontrava anche interesse nei bambini in quanto si costruivano con i rami svuotati giochi vari (Sella, 1992).
In Valchiusella attualmente si preparano con i fiori freschi sciroppi che sono da accompagnamento per piatti a base di frutta e, nel periodo estivo, sono ottime bevande rinfrescanti. Si preparano con i fiori anche budini, marmellate e frittelle.
Più recente è l’uso delle foglie del sambuco nella “lotta biologica”, a livello della quale stanno riscontrando un’importanza notevole poiché hanno proprietà insettifughe e possono essere utilizzate per questo in agricoltura, in frutticoltura ed in orticoltura contro i parassiti e gli insetti patogeni delle piante. In passato il decotto di foglie era utilizzato nel caso di invasioni di larve sulle piante da frutta (Pomini, 1959).